Marsala vanta il maggior numero di enoteche in rapporto agli abitanti. Qua, la cultura del vino ha radici antichissime. Radici nomadi, però.
I primi a impiantare i filari di vite sul territorio che oggi identifichiamo come Marsala, furono i fenici ritiratisi sulla costa siciliana per scappare al tiranno Dionisio di Siracusa. Questo primo insediamento prese nostalgicamente il nome di Lylibeo, ovvero ‘città che guarda la Libia”. Da lì infatti, e precisamente da Cartagine proveniva la nave punica i cui resti sono stati rinvenuti presso punta Alga, sul litorale nord. Si tratta di un esemplare unico al mondo, importantissimo per lo studio della tecnica navale dei fenici.
La nave, assieme agli oggetti ritrovati con essa, è oggi accolta nel Museo Archeologico Lilibeo Baglio Anselmi.
Nonostante la prossimità del mare, gli abitanti di Lylibeo svilupparono pastorizia e agricoltura, e soprattutto impiantarono e coltivarono la vite.
Dalla parsimonia di quei contadini sarebbe scaturito il prodotto destinato a finire sulle tavole di tutto il mondo. Per non perdere, infatti, i rimasugli nelle botti fu presa l’abitudine di rabboccare il vino vecchio con il nuovo.
Doveva insomma essere un vino che non finiva mai: perpetuum, lo chiamarono.
Nei secoli quegli stessi vitigni vennero coltivati da romani, arabi e spagnoli che si susseguirono alla conquista e amministrazione della città sicula.
Eppure, il perpetuum rimase a lungo apprezzato solo dagli abitanti locali.
Il vero successo internazionale del vino Marsala, si sa, fu merito di un inglese. Anzi, del gusto inglese. Un gusto inglese, tuttavia, un pò spagnolo e un pò portoghese.
Il vino che i solerti osti gli servirono nelle cantine di Marsala, Woodhouse lo apprezzò perché nei salotti e nei club di Liverpool e di Londra i palati erano abituati ai sapori dei vini di Jerez e di Madeira che egli riconobbe anche nell’aroma del vino siculo.
Un palato abituato, insomma, come solo la familiarità abitua: in modo rassicurante. Una familiarità british, certo, ma dai tratti spagnolo-portoghesi.
Il destino di quegli osti, di quei vini, dell’economia e dell’identità di una città siciliana, dunque, erano, nel lontano fine settecento già pienamente globali. Senza spostarsi mai da quelle vigne o da quelle cantine, in un bicchiere c’era il giro d’Europa e del mondo.
Corretto con l’acquavite, per sopportare il viaggio per mare, il vino fu apprezzato immediatamente oltremanica: Giovanni Casadilegno ci aveva visto giusto e la produzione inglese a Marsala iniziò a spron battuto. Solo da quel momento il Marsala si sarebbe spostato dalla costa sicula.
Presto, si unirono anche le famiglie locali e da allora le vicende delle storiche cantine sono quelle della stessa città e il vino Marsala ha continuato a girare il mondo. Il primo prodotto D.O.C italiano ha, nella sua ‘origine controllata’ un’identità ibrida e multiculturale.
Altropasso sarà a Marsala per la prima tappa del Tour enogastronomico il 26 e 27 Maggio
Ecco alcune delle cantine storiche di Marsala: Florio, Pellegrino, Alagna, Martinez e De Bartoli